Una Momentanea Eternità
Quattro anni di lavorazione, migliaia di negativi, lunghe attese e faticose escursioni
diventano ora un volume di 160 pagine contenente 130 fotografie.
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La recensione del libro sul numero di gennaio 2020 di "Fotografare"!
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IL PROGETTO
Il mio progetto "Una momentanea Eternità" non è una raccolta di fotografie. Almeno, non solo. E' una raccolta di storie. Io l'ho immaginato come un "Le Mille e Una Notte" in cui, al posto delle favole, ci siano storie vere, legate ai luoghi. Una fotografia può narrare una storia? Io sono convinto di si, anche se a volte un po' di parole servono.
Guarda la foto qui sotto (analogica, come tutte quelle del progetto): rappresenta il castello di Montauto, a Manciano (Gr), in piena Maremma etrusca. Il sito è abbandonato da secoli, e un vetusto acero ha piantato le sue tortuose radici nei muri crollati. Anche lui è una storia viva! Ma Montauto è soprattutto uno dei luoghi in cui trovò a lungo rifugio il brigante Tiburzi, che da qui poteva controllare il suo "regno". In effetti agiva come un monarca, e nulla accadeva nel suo territorio senza che lui lo sapesse, grazie a una fitta rete di informatori.
Soprattutto, nulla accadeva senza la sua approvazione. Chi sgarrava, riceveva la sua visita e, a volte, una schioppettata. Era comunque considerato una specie di Robin Hood: generoso con i poveri e i diseredati, taglieggiava i ricchi, i nobili, i proprietari terrieri, che gli dovevano una sorta di tassa: pagavano per avere la sua protezione, in stile mafioso. Quante scene avrà visto Montauto? Quanti falò notturni, quante riunioni di malfattori, quante visite di gente che veniva a chiedere favori e benevolenza al "re" Tiburzi?
Guarda la foto qui sotto (analogica, come tutte quelle del progetto): rappresenta il castello di Montauto, a Manciano (Gr), in piena Maremma etrusca. Il sito è abbandonato da secoli, e un vetusto acero ha piantato le sue tortuose radici nei muri crollati. Anche lui è una storia viva! Ma Montauto è soprattutto uno dei luoghi in cui trovò a lungo rifugio il brigante Tiburzi, che da qui poteva controllare il suo "regno". In effetti agiva come un monarca, e nulla accadeva nel suo territorio senza che lui lo sapesse, grazie a una fitta rete di informatori.
Soprattutto, nulla accadeva senza la sua approvazione. Chi sgarrava, riceveva la sua visita e, a volte, una schioppettata. Era comunque considerato una specie di Robin Hood: generoso con i poveri e i diseredati, taglieggiava i ricchi, i nobili, i proprietari terrieri, che gli dovevano una sorta di tassa: pagavano per avere la sua protezione, in stile mafioso. Quante scene avrà visto Montauto? Quanti falò notturni, quante riunioni di malfattori, quante visite di gente che veniva a chiedere favori e benevolenza al "re" Tiburzi?
Il passato è sempre così misterioso, eppure possiede sempre una sua verità, una sua realtà concreta: solo che a volte non sappiamo interpretarla. Non avviene così anche con le fotografie? Rappresentano un soggetto vero, ma per comprenderle a fondo occorre imparare a leggerle. Proprio come una storia.
Il mio progetto ora diventa un libro fotografico - ricco anche di testi - che ho curato con il massimo dell'attenzione, scegliendo di produrlo in piena autonomia.
Il mio progetto ora diventa un libro fotografico - ricco anche di testi - che ho curato con il massimo dell'attenzione, scegliendo di produrlo in piena autonomia.
- - Formato quadrato (22x22 cm)
- - 160 pagine
- - 130 fotografie
- - Stampa digitale di alta qualità su carta Fedrigoni
- - Testi che sono frutto di un lungo lavoro di ricerca e documentazione
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Il tema vero di questo progetto fotografico - come detto - è il tempo, o per meglio dire il passato, che può essere remoto o magari relativamente recente. Noi possiamo progettare il futuro, ricordare il passato ma vivere e costruire solo il presente.
E il presente è una potentissima fabbrica di passato. Nel momento stesso in cui compiamo un'azione, ecco che essa appartiene già al passato. Non possiamo più modificarla.
Questa tensione tra presente e passato costituisce la grande angoscia dell'umanità, che si è fatta ancora più forte (e a volte disperante) oggi che grazie alla tecnologia divoriamo più "presenti" contemporaneamente.
E il presente è una potentissima fabbrica di passato. Nel momento stesso in cui compiamo un'azione, ecco che essa appartiene già al passato. Non possiamo più modificarla.
Questa tensione tra presente e passato costituisce la grande angoscia dell'umanità, che si è fatta ancora più forte (e a volte disperante) oggi che grazie alla tecnologia divoriamo più "presenti" contemporaneamente.
Un ruolo importante, in tutto questo, lo svolge proprio la fotografia. Da quando è stata inventata, è diventata subito uno strumento per creare memoria (cioè nuovo Passato), ma da quando esistono gli smartphones e i selfie, il tutto è diventato virale. Non riusciamo più a goderci il presente: pretendiamo di eternizzarlo fotografandolo compulsivamente. Lo facciamo istintivamente, e non ci rendiamo conto che questo flusso, di fatto, divora la nostra realtà.
Per questo credo che oggi sia ancora più importante essere coscienti del nostro passato. Non quello recente, quello distante: decenni, secoli, millenni fa. Noi siamo il frutto di quel passato, in fondo. Da queste (e altre) considerazioni è nato appunto il progetto "Una Momentanea Eternità", che già dal titolo rende evidente quale sia stato la motivazione che mi ha spinto: prendere coscienza che l'apparente immutabilità di ciò che ci circonda è in verità un costante divenire in cui nulla si costruisce senza che si poggi sulle fondamenta del passato.
Per questo credo che oggi sia ancora più importante essere coscienti del nostro passato. Non quello recente, quello distante: decenni, secoli, millenni fa. Noi siamo il frutto di quel passato, in fondo. Da queste (e altre) considerazioni è nato appunto il progetto "Una Momentanea Eternità", che già dal titolo rende evidente quale sia stato la motivazione che mi ha spinto: prendere coscienza che l'apparente immutabilità di ciò che ci circonda è in verità un costante divenire in cui nulla si costruisce senza che si poggi sulle fondamenta del passato.
Non è stato un approccio nostalgico, con lo sguardo rivolto indietro: anzi, il contrario. Sono ben felice di vivere nell'oggi! Penso però che potremmo rendere il presente migliore - e noi vivere più serenamente - se il nostro passato non lo abbandonassimo in un angolo remoto della nostra memoria. E questo non solo (anche) per non ripetere gli errori di cui quel passato è colmo, ma anche per imparare dalla tante cose buone e positive che lo costellano.
Il mio è stato un viaggio da un lato alla ricerca delle nostre radici - un viaggio svolto nell'Etruria Meridionale ma che avrei potuto svolgere in mille altri luoghi, in Italia come nel Mondo - dall'altro alla scoperta di quella "Terra Straniera", per dirla con David Lowenthal, che percorriamo ogni giorno, costantemente, senza esserne consapevoli: il Tempo.
Per sottolineare ulteriormente l’aspetto temporale, ho scelto di utilizzare solo fotocamere analogiche “vintage”, che abbiano almeno 20-30 anni di “vita”, ma spesso molto di più, come quelle in bachelite degli anni ‘40 o ’50. Inoltre sono ricorso anche alla fotografia stenopeica, in cui l’immagine è creata sul supporto sensibile non grazie a un obiettivo a lenti, ma dalla luce che passa attraverso un piccolo foro, stenos opaios in greco, da cui il nome. Ovviamente i tempi di esposizione sono molto lunghi, dato che la luce che riesce a passare il forellino per raggiungere la pellicola è davvero minima: questa caratteristica mi è stata utile per sottolineare ancora di più lo stretto rapporto tra le mie fotografie e il tempo.
Il mio è stato un viaggio da un lato alla ricerca delle nostre radici - un viaggio svolto nell'Etruria Meridionale ma che avrei potuto svolgere in mille altri luoghi, in Italia come nel Mondo - dall'altro alla scoperta di quella "Terra Straniera", per dirla con David Lowenthal, che percorriamo ogni giorno, costantemente, senza esserne consapevoli: il Tempo.
Per sottolineare ulteriormente l’aspetto temporale, ho scelto di utilizzare solo fotocamere analogiche “vintage”, che abbiano almeno 20-30 anni di “vita”, ma spesso molto di più, come quelle in bachelite degli anni ‘40 o ’50. Inoltre sono ricorso anche alla fotografia stenopeica, in cui l’immagine è creata sul supporto sensibile non grazie a un obiettivo a lenti, ma dalla luce che passa attraverso un piccolo foro, stenos opaios in greco, da cui il nome. Ovviamente i tempi di esposizione sono molto lunghi, dato che la luce che riesce a passare il forellino per raggiungere la pellicola è davvero minima: questa caratteristica mi è stata utile per sottolineare ancora di più lo stretto rapporto tra le mie fotografie e il tempo.